Napoli-Juve, quanti fischi per Higuain:
la reazione del Pipita fa male

Napoli, quanti fischi per Higuain: la reazione del Pipita fa male

di Pietro Treccagnoli
Il Black & White Friday del Napoli non poteva che essere azzurro. È sempre stata la sfida suprema per la quale non ci si afferra solo sul prato verde di Fuorigrotta. Napoli-Juve, quando si gioca si gioca, comincia ad agosto, quando viene reso noto il calendario. È da allora che ci si prepara, perché battere i bianconeri (stavolta mimetizzati sotto un giallo total canarino) è la rivincita. È una bolletta che può non portarti un centesimo, ma ti fa campare sereno e sorridente per un anno intero, vale come un miracolo di san Gennaro. È sempre stata la partita che salvava la stagione, andava come andava il campionato. La rivincita del Sud contro il Nord. Riscatto e sogno, un modo per togliersi gli schiaffi da faccia. Da tempo non è più così. Può essere ed è la contesa dei tre punti che valgono lo scudetto e che si può disputare a posizioni invertite. Loro sotto e il Napoli sopra. Non sempre, ma spesso.

Ci si prepara con ostinazione, tifosi e ultrà. I soliti rituali, che attorno al San Paolo non sono mancati nemmeno ieri sera: i manifesti funebri, le scritte (Napoletano juventino ti schifano a Napoli e pure a Torino, Con la Var è fernuta a zezzenella), le sciarpe con la scatologica definizione della Juve, cinque lettere che ricordano Cambronne. Proprio quelle e stavolta un bel po' sono state temporaneamente sequestrate all'ingresso dagli steward, appese alle grate divisorie, accanto ai cestini dove venivano depositate le bottigliette non consentite. Chi voleva poteva riprendersele all'uscita. Loro i bianconeri sono arrivati in ritardo. Dal corso Vittorio Emanuele, dove alloggiava la squadra piemontese, il pullman ha imboccato via Tasso è s'è infognato tra curve e auto in sosta. Poi, come già in altre occasioni, l'ha presa alla larga, arrivando con la Tangenziale da Agnano e infilandosi nell'area dello stadio alla chetichella. Mentre gli azzurri sono stati accolti con il solito saluto Vincere è una scarica di foto dagli smartphone. Poi, una volta dentro, nei distinti è scivolato sulle teste un grande striscione: Napule è mille culuri, in campo 11 leoni. Perché Pino Daniele va sempre bene. Può esaltare o consolare, preventivamente.
 

Nell'irriferibile tifo più salace non poteva che esserci Higuain, il fedifrago. L'hanno bersagliato come non s'era mai visto, già quando, insieme agli altri uomini di Allegri è entrato in campo per il consueto riscaldamento. Mitragliate di fischi, cori che se la prendevano con la incolpevole madre. Estremi da curve, che le vestali del antisessismo non se ne adontino. Perché il tifo conosce ragioni che la ragione non conosce. La festa, vada come vada, prevede l'eccesso. Inutile e fuori posto gli atteggiamenti da zite cuntignose. Tra l'altro i fischietti contro il Pipita (specificatamente contro di lui) li vendevano a cinquanta centesimi. Roba popolarissima. Perché c'è argentino e argentino, c'è mano e mano, quella de Dios e quella con il tutore.

Aurelio De Laurentiis, prima del calcio d'inizio, dai microfoni di Mediaset Premium: «Se dovessi vedere Higuain lo saluterei? Io nella vita non provo rancore per nessuno. Mi posso inquietare ma poi dopo poco dimentico tutto. Nel suo caso dopo un po' più di un poco». E si è allineato allo storico sentimento popolare della battaglia: «Cosa rappresenta Napoli-Juventus? Rappresenta tutto un campionato, sia all'andata che al ritorno che sarà una gara ancora più furiosa perché sarà ancora tutto in gioco: lì verranno fuori i veri valori».

Higuain è stato il bersaglio privilegiato, andasse come andasse, è andata come è andata. Il suo sfottò lanciato verso la tribuna dopo il gol, la mano destra sull'orecchio, poi sulla fronte e quindi a battere sul cuore, ha incanaglito le urla del San Paolo. Hamsik s'è guadagnato, per tutta la giornata, il colorato sostegno di una abbondante è scatenata comitiva slovacca, capeggiata dal padre, Richard, arrivata direttamente da Banskà Bystrica e che ha sciamato per il Centro Antico e per Toledo. Quando sono arrivati a Fuorigrotta sono stati i beniamini delle telecamere con cori in slovacco (e valli a capire) a ritmo di Kasacciò.
 
Mentre nella tribuna vip si notavano sia Antonio Bassolino che Clemente Mastella, come nei tempi andati, lo spettacolo fuori, già diverse ore prima del via di Daniele Orsato di Schio, si è appalesato con le immancabili e involontarie passerelle che facevano la gimcana tra le lunghe code ai tornelli, il serpentone delle grandi occasioni. Cinquantamila erano e tra di loro molte facce slave, tanti orientali della Chinatown vesuviana. Scatenato un gruppetto di otto giovani spagnoli. Studenti Erasmus di Giurisprudenza, tutti di Santander, capeggiati da Fran Rado, tutti inneggianti a Callejon e Reina con brindisi di Peroni, Moretti e Sprite. Da come inneggiavano al Napoli parevano più arrivati da via Speranzella nel cuore dei Quartieri Spagnoli che dalla Spagna vera e proprio. Basta poco per ambientarsi.

Scatenate come al solito le tre gommose Grazie in rosa in uno dei tanti pub-camion. Tra una panino alla porchetta e un altro alla cotoletta con patatine, tra un tarallo e un trancio di pizza, ballavano al ritmo di un remake napoletanizzato di Azzurro (che Paolo Conte non li maledica), che voleva fare colpo nel cuore e nella mente (non si capiva se si trattasse di botanica o di anatomia). Non mancava Mario, il singolare batterista di Ponticelli che normalmente si esibisce nei Decumani suonando uno scooter. Con il sottofondo di Un giorno all'improvviso dava un colpo al tamburo è un altro al casco o al sedile e quindi un frenetico rullo dei piatti con i tifosi armati di telefonino a immortalare a beneficio dei social. Ormai il mondo è reale solo quando è visto attraverso lo schermino touch.

Sugli spalti contava la foga che tutti, le due curve in particolare, mettevano nel cantare come una corrida. Non c'erano i sostenitori degli ospiti. Il loro settore era sconsolatamente vuoto e così sono stati risparmiati attriti e botti. Il tifo s'è concentrato sul campo, dove si celebrava il carosello, dove la giostra puntava a gonfiare la rete, dove l'amarezza e la gioia, l'ansia e il desiderio di estasi rimbalzavano a ogni ripartenza. Napoli-Juve è questo. E già da oggi ricomincia, sempre gli azzurri avanti. La prossima a Torino. E ci starà sempre una prossima tra chi cerca una rivincita e da anni se la gioca alla pari. Valgono ancora una volta le parole di De Laurentiis prima della partita: «In città si respira un clima di festa? Napoli esprime sempre questi valori di gioia perché i napoletani vivono la vita in maniera esemplare ma con gioia». E così sia, sempre. E a fine partita i cori e gli applausi delle curve hano siglato comunque una giornata di festa per il calcio.
 
Ultimo aggiornamento: Sabato 2 Dicembre 2017, 13:49
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