Football spread, l'Italia indietro anche nel calcio

Football spread, l'Italia indietro anche nel calcio

di Romolo Buffoni
ROMA - A ognuno il suo spread. Quello vero, che assilla l’economia italiana, misura il differenziale di rendimento dei titoli di Stato italiani con quelli tedeschi. Ma ce n’è anche uno che sta a indicare lo scarto del nostro calcio rispetto agli altri quattro maggiori movimenti europei. Non si parla di Nazionali (lì già c’è il Mondiale che vivremo da spettatori a ricordare la nostra rovina), ma di campionati domestici. E anche qui sono dolori.
COMANDA LA PREMIER - Secondo uno studio della Figc, sviluppato in collaborazione con Arel (Agenzia di Ricerche e Legislazione) e Pwc (PricewaterhouseCoopers, società di revisione e consulenza legale/fiscale alle imprese), la Serie A è in coda al calcio continentale. Fatta base, come al solito, la Germania con la sua Bundesliga, la Serie A accusa uno spread di 208,3 punti che è la sintesi di indicatori economici, patrimoniali e sportivi. Solo la Ligue 1 francese sta peggio (227,3) mentre la Liga spagnola si difende (57,9). In realtà, nel caso del calcio la locomotiva dell’Europa è, come si intuisce anche a occhio nudo, la Premier League inglese che vanta uno spread negativo (-25,7).



STADI VUOTI - Il dossier evidenzia come il nostro calcio paghi in primis le carenze strutturali: nei nostri stadi di serie A (vetusti, scomodi e pericolosi) risultano 8 milioni di biglietti invenduti, mentre negli altri tornei si arriva al milione. Sommando la Serie B, poi, si arriva a 18 milioni di ticket invenduti per un potenziale inespresso di 300 milioni di euro. In 40 anni l’affluenza media nei nostri stadi è calata del 35%. Dato che sembra non nuocere solo al cassiere, ma anche agli allenatori: se rapportato all’aumento delle vittorie in trasferta dal 17 al 31% si può curiosamente affermare che un migliaio di tifosi in meno costano tre sconfitte casalinghe in più a stagione.
INDICI IN CRESCITA - Eppure la Serie A è in crescita. Secondo questo studio tra la stagione 2014/15 e quella del 2016/17 il valore della produzione è aumentato del 28% (da 2,6 a 3,3 miliardi di euro) con un aumento dei costi di appena il 7% e un miglioramento del 317% (da 176 a 734 milioni) dell’Ebitda (acronimo inglese che in italiano sta per “utili prima degli interessi, delle imposte, del deprezzamento e degli ammortamenti”). Infine, per ogni euro investito nel calcio lo Stato ne ha un ritorno in termini fiscali e previdenziali pari a 14,4. Ma questo evidentemente non basta al calcio italiano per evitare la zona retrocessione.

Ultimo aggiornamento: Giovedì 31 Maggio 2018, 08:00

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