Esserci o non esserci? Non è soltanto una partita di pallone
di Alvaro Moretti
Perché l’Italia del calcio fuori dal Mondiale è opzione che non possiamo ricordare, né parametrare ad analoga delusione sportiva. Capitò nel 1958 e chi è sopravvissuto ancora racconta la cosa con i toni della tragedia indelebile, del tatuaggio sbagliato. Riuscirà Ventura con quella faccia e troppe formazioni sbagliate a gestire tutto questo? E i suoi atleti, figli di un prodotto interno minore rispetto al passato? Speriamo di sì, ovvio.
In momenti di crisi o di ripresa, il calcio è stato spesso segnale di qualcosa che il Paese viveva. In alcuni momenti il calcio era l’isola felice; ed essere a lungo superpotenza del calcio, senza esserlo politicamente era stato consolazione o sprone. Altre volte, pensiamo all’82, un riscatto patrio all’uscita dal tunnel terroristico e delle crisi degli anni 70.
Le possibilità di rimontare l’autogol con cui la Svezia si sente molto vicina a Russia 2018 esistono: affidarsi tanto, troppo, ai 72 mila che stasera a San Siro spingeranno gli azzurri non è un buon segno.
E segno pessimo sarebbe per l’Italia (e per la Figc) risvegliarsi senza il divertissement serissimo del Mondiale a giugno.
Il problema è che a gestire questa situazione complicatissima c’è chi - Ventura - un intrigo del genere non l’ha mai vissuto in prima persona. E sembra, il ct, in preda ad una “cambite” che travolge ogni 90’ moduli e uomini. Magari stasera - improvvisamente - si trasforma in stregone, al momento pare solo un apprendista. E la materia dell’esperimento siamo noi, con la nostra passione nazionale e un pezzo del nostro Pil umorale ed economico.
Ultimo aggiornamento: Domenica 12 Novembre 2017, 23:50
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