Trent'anni fa la strage dell'Heysel, Tacconi:
"Ci ordinarono di giocare e festeggiare"

Trent'anni fa la strage dell'Heysel, Tacconi: "Ci ordinarono di giocare e festeggiare"

di Timothy Ormezzano
Erano andati in massa a Bruxelles con la speranza di festeggiare la prima Coppa dei Campioni bianconera. Invece decine di tifosi juventini trovarono una morte orribile nel settore Z dello stadio: travolti dalla furia degli hooligans inglesi ubriachi, schiacciati contro le balaustre o precipitati dalle gradinate poco prima che iniziasse la finale contro il Liverpool del 29 maggio 1985.

Trentanove morti (32 italiani) anche per l’inadeguatezza dell'Heysel e dei servizi di sicurezza ed ordine pubblico. Un’ora di follia, poi si giocò lo stesso per evitare guai ulteriori. Una partita fasulla, con morti e feriti a bordo campo. Una “Coppa maledetta” che la Juve aveva inseguito per 30 anni e che era sfuggita già due volte: nel '73 a Belgrado, dieci anni dopo ad Atene.











Stefano Tacconi, portiere della Juve nella tragica finale di Coppa Campioni contro il Liverpool del 29 maggio 1985, se chiude gli occhi quali immagini le tornano in mente a 30 anni da quella notte da incubo dell'Heysel a Bruxelles?

«Non bisogna chiudere gli occhi, ma tenerli ben aperti per ricordare. Penso soprattutto al grande sogno di 22 giocatori infranto da certi ultrà. Le finali si dovrebbero sempre giocare con entusiasmo e gioia».



Non si poteva evitare di scendere in campo per rispetto delle 39 vittime?

«Le notizie erano frammentarie, non si capiva se era morto un tifoso oppure un centinaio. La Uefa ci aveva impedito di scendere in campo ma per fortuna un generale grande e grosso, con un po' più sale in zucca, ci ha ordinato di giocare per evitare problemi più grandi: la curva juventina avrebbe voluto vendicarsi...».



Erano inevitabili anche certi festeggiamenti?

«Sento sempre ripetere le stesse cose... La nostra festa era stata decisa dallo stesso generale alto due metri: ci ha obbligati a uscire dallo spogliatoio e andare sotto la curva bianconera, perché dovevamo tenere i nostri tifosi all'interno dello stadio».



Ironia della sorte, quella fu la sua migliore partita di sempre: conferma?

«Proprio così, però non riesco a raccontarla. Ma il dramma è che certi fattacci continuano a ripetersi con cadenza preoccupante».



Si riferisce a quanto accaduto prima di Lazio-Roma?

«Proprio così: guardate cosa è successo prima del derby di lunedì: certa gente ha la segatura al posto del cervello. In Italia non riusciamo proprio a cambiare: servono leggi dure da far rispettare. Possibile che ai politici le cose vadano bene così? Io credo che chi ama lo sport e il calcio in particolare, sia disgustato da quanto visto nei paraggi dell’Olimpico. Una cosa indegna. Non è possibile essere ostaggi di bande di delinquenti. Perché questi personaggi, etichettiamoli così, lo sono».



Qual è il modo per non dimenticare l’Heysel?

«Intanto in questi giorni sono proprio a Bruxelles, ospite di una televisione belga, per commemorare la tragedia. Io e il mio ex collega Grobbelaar (il numero 1 del Liverpool di allora, ndr), non chiedetemi chi è il più matto dei due, abbiamo inutilmente proposto ai club di giocare tutti gli anni un’amichevole tra Juventus e Liverpool. Ultimamente è saltato il progetto di uno spettacolo teatrale per rievocare la tragedia. La Juve ha ritenuto che una parte della sceneggiatura fosse un tantino delicata e pure controversa».



E allora, la società di Agnelli cosa potrebbe fare per tenere vivo il ricordo?

«La cosa più importante è che il club bianconero stia vicino alle famiglie delle vittime».
Ultimo aggiornamento: Giovedì 28 Maggio 2015, 11:12

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