Michael Jordan, la leggenda del basket che vinse la forza di gravità

Michael Jordan, la leggenda del basket che vinse la forza di gravità

di Valerio Bianchini
All'inizio Jordan fu: “l'uomo che vinse la forza di gravità”. Quello che stupiva di lui era la capacità di alzarsi in un tiro in sospensione e galleggiare guardando i difensori che avevano saltato con lui per contrastarlo, ma vinti dalla forza di gravità, ricadevano impotenti sul parquet, mentre Michael, solo a mezz'aria davanti al canestro, scoccava un tiro che spesso dava la vittoria ai Tar Heels. Molti altri atleti NBA hanno imparato a volare sopra i canestri, ma nessuno è diventato Michael Jordan. Michael non ha saltato il college per essere subito una star, Michael ha seguito per 4 anni gli insegnamenti di Dean Smith, uno dei più grandi maestri nella storia del basket. Per questo a differenza di molti super-atleti non è rimasto prigioniero della sua fisicità, ma ha aggiunto sapienza tecnica al suo gioco e, quel che più conta ha saputo trasformare il naturale narcisismo dell'atleta in carisma , in servizio, in sintesi del gioco di squadra.



Sulla scorta di quanto di meraviglioso mostrava sul campo, Michael fuori dal campo sapeva parlare alla gente e non solo ai ragazzi di colore, pazzi per il basket, ma a tutti i ragazzi del mondo. Leggendaria è rimasta nella storia dello sport la sua esemplare lezione sull'importanza della sconfitta in un mondo dove conta solo la vittoria: “Ho sbagliato più di 9.000 tiri nella mia carriera, ho perso più di 300 partite, 26 volte ho avuto dai compagni il pallone per il tiro della vittoria e ho fallito. E ho sbagliato e sbagliato ancora tante volte nella vita. Per questo ho vinto tutto”. Negli anni 80 la NBA presentava ancora una netta separazione tra la forza-lavoro dei giocatori quasi tutti neri e il potere dell'establishment tutto bianco. Michael ha gettato un ponte tra le due rive. Si potrebbe dire che, in un certo modo, è stato l'epigono del messaggio di Mohammed Ali: dare degli atleti neri una nuova clamorosa immagine “glamour” internazionale. Michael è diventato un'icona del Jet set planetario e ha preparato la strada per la presidenza di Obama. Ma per me allenatore, la sua più grande lezione è venuta dal momento della sua più grave crisi. Quando schioccato per l'assassinio del padre, avvenuto in circostanze misteriose, il più grande di tutti, l'uomo simbolo dell'NBA, il testimonial-creatore di Nike, decide di ritirarsi dal basket.

L'NBA cerca in ogni modo di farlo rientrare dalla sua decisione, ma Michael è irremovibile e si dedica al baseball in una lega delle Minors. I Bulls hanno un grande allenatore e grandi giocatori, affrontano la nuova stagione senza Michael ma non vincono l'anello. Nell'estate successiva di nuovo una imponente task-force cerca di convincere Michael a tornare ma ne hanno un nuovo rifiuto. I Bulls ora rinfrancati tornano ed eccellere nel secondo campionato della loro vedovanza, quando a stagione iniziata, Jordan decide di rientrare. E' subito “ The great come back” sul pianeta e le aspettative sono enormi. Jordan non è allenato, viene da uno sport che è l'antitesi del basket, ma come mette il piede in campo i compagni vedono solo lui, Pippen, Kukoc, Steve Kerr non tirano più, passano la palla a Michael ad ogni occasione rinunciando alle loro responsabilità. Il ritorno della Superstar paralizza una squadra di campioni. Le difese posso concentrarsi su Miachael e i Bull sperdono le partite. “Jordan è finito, Phil Jakcson non ha più in mamo la squadra” La delusione dei fans è enorme, ma Jackson non è un coach qualunque. Chiama il suo assistente Tex Winter già utrasettantenne, coach icona del mondo dei college anni sessanta, che ha il compito di dare supporto tecnico a Phil che è un grande “pastore di tori” e conosce l'animo dei giocatori NBA. “Tex dobbiamo cancellare tutto e ricominciare da capo.

Dammi un gioco dei tuoi dove tutti toccano la palla e hanno responsabilità individuale”. il gioco nuovo di Tex è il suo Triple Post che usava al college negli anni sessanta e che sarebbe diventato il leggendario “Triangolo dei Bulls” imitato in tutto il mondo. Un gioco dove tutti si passano la palla e tira chi è aperto, senza riguardo alle superstar. Quei grandi campioni supermilionari,con in testa Jordan, poiché capiscono che per tornare a vincere devono diventare umili , si applicano al gioco come studenti, e ognuno torna a prendersi le proprie responsabilità mentre Michael si nasconde, sembra sparire, finchè un giorno ritrova la sua forma e in quella nuova armonia di squadra, torna ad essere “L'uomo che vinse la forza di gravità”. Perchè anche il più grande giocatore di tutti tempi non può vincere da solo, ha bisogno dei compagni e di un allenatore che indichi la strada giusta. Valerio Bianchini
Ultimo aggiornamento: Giovedì 16 Febbraio 2017, 21:50
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